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“Dostoevskij” – Le storie amare dei D’Innocenzo

Una scena di "Dostoevskij" di Damiano & Fabio D’Innocenzo
Una scena di Dostoevskij di Damiano & Fabio D’Innocenzo, con Filippo Timi, Gabriel Montesi, Carlotta Gamba, Federico Vanni | © Sky Studios Limited, Sky Italia S.r.l., Paco Cinematografica S.r.l. (2023)

Fabio e Damiano D’Innocenzo presentano in anteprima mondiale al Festival del cinema di Berlino una serie televisiva noir e macabra, un thriller pieno di dolore e introspezione.

Di Sara De Pascale

Il ritorno dei Fratelli D’Innocenzo a Berlino

I Fratelli D’Innocenzo tornano alla Berlinale dopo quattro anni, sono in concorso nella sezione Special del festival con la serie tv Sky Original Dostoevskij. La storia non ha nulla a che fare con lo scrittore russo. Parla di un poliziotto tormentato che indaga sui delitti un violento serial killer. Sulla scena del crimine vengono ritrovate lunghe e minuziose lettere, in cui sono descritti i dettagli del momento dell’omicidio, da qui il nomignolo Dostoevskij. La serie televisiva uscirà prossimamente nelle sale cinematografiche italiane e, in seguito, su Sky e Now tv.

La sera della prima cinematografica

Durante la pausa, noto la quantità di italiani presenti in sala: siamo parecchi, ma non troppi. Ci troviamo al Kino International, uno dei cinema più importanti di Berlino.

In fondo alle file, seduti negli ultimissimi posti centrali, ci sono anche i registi e parte del cast. Nell’intervallo – la serie è stata proiettata integralmente, con una pausa di dieci minuti dopo le prime due ore e mezza – Damiano D’Innocenzo saluta qualche amico, abbraccia un ragazzo e dice: “Oh, 3 a 0 abbiamo vinto, eh!” e fa i nomi dei calciatori che hanno segnato i goal della Roma, nella partita di ieri pomeriggio.

Nel frattempo qualcun altro bisbiglia. Sento italiani, forse critici, forse semplici appassionati, discutere a voce impercettibile. L’unica parola che intercetto dalla loro conversazione è “scrittura”, poi la frase “è nello stile loro”.

Fuori dal Kino, frotte di fumatori si ammassano ad accendere sigarette. Qualcuno che al collo ha il cartellino PRESS vanta e racconta delle produzioni cinematografiche alle quali sta lavorando, facendo anche qualche nome importante. Qualcun altro fa domande. Un ragazzo, che probabilmente è stato oggi pomeriggio alla Berlinale Shorts – la sezione del Festival dedicata ai cortometraggi – azzarda: “Oh, ma i Balcani fanno cinque film all’anno, ma so’ tutti boni, mica come da noi, che ne cacciamo centoventi, ma quasi tutti brutti.”

Tornando in sala, mentre salgo le scale ricoperte di moquette, noto qualche abito sartoriale camminarmi davanti. È solo lì, alzando lo sguardo, che me lo sono ricordato: oh, è una prima mondiale integrale dei Fratelli D’Innocenzo. Quando mi rimetto a sedere sulla poltrona, sento ancora uno dei due registi urlare: “E come deve annà, abbiamo vinto 3 a 0!”.

La dimensione intimistica

Forse è questo che mi piace dei Fratelli D’Innocenzo: questa misura e dimensione del reale che è cucita anche sulla pelle dei loro film. Lasciano vedere il loro sguardo, in continuazione, lo fanno così bene da non farti accorgere quando ci sei entrata dentro. Poi, dopo un po’, pensi: mi hanno fregata. Sono nella loro storia, ragiono con i loro meccanismi e l’hanno indotto senza peso.

Damiano dice ancora, per far sedere gli spettatori ancora sparpagliati e in piedi: “Qua tocca parlà inglese. Oh, sta a inizià il film. The movie is starting, come on, please!” È l’inglese più romano che io abbia mai sentito.

Un risultato travolgente dopo due anni di lavoro

Bravi tutti. Dostoevskij è davvero – come lo hanno definito i D’Innocenzo stessi – un romanzo. È uno di quei libri buoni e gustosi, mentre lo leggi non vedi le lettere che si alternano e formano le parole, ma solo immagini che scorrono a frotte, copiose e dolorose. Ci hanno impiegato due anni a costruire e mettere in piedi il film.

Molte delle cose che vedi ti stanno antipatiche, ti fanno rivoltare lo stomaco, procurano un gigantesco senso di vergogna e disagio. Come molte cose che vediamo nella realtà, d’altronde. E, con quello stesso naturale ritmo ciclico, vanno avanti.

Questa è una nauseante storia di uomini che odiano sé stessi e, detestandosi così tanto, seminano il male nel mondo. Male che, come i D’Innocenzo ricordano e sottolineano sempre, sta nelle cose più comuni, nei segreti della gente qualunque. Loro non fanno altro che condirli di cinema.

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