Juli Zeh
“C’è sempre un’alternativa”
Juli Zeh, autrice e giudice costituzionale, sul tracciamento dei cellulari, gli informatori e la politica della paura.
Di Jan Heidtmann
Juli Zeh, 45 anni, è una delle poche scrittrici della sua generazione impegnate a livello politico. Durante le elezioni del 2005 ha sostenuto la coalizione Rosso-Verde e nel 2007 è entrata a far parte del SPD. Lo scorso anno l’avvocata è stata nominata giudice onorario presso la Corte Costituzionale del Brandeburgo.
Una decina di anni fa, Lei ha scritto il romanzo Corpus Delicti, nel quale narra di uno Stato in cui, in nome della salute, vengono poste delle restrizioni alle libertà civili essenziali. Stiamo attualmente vivendo una temporanea dittatura dell’igiene?
Ciò che possiamo affermare senza dubbio è che al momento si interviene pesantemente sui diritti fondamentali dei cittadini, senza che venga chiarita la base giuridica sulla quale ciò avviene. Non c’è bisogno, però, di parlare subito di dittatura. Dopo tutto, è anche logico che, quando il tempo stringe e occorre agire velocemente, non sia facile rispettare le regole della democrazia.
L’urgenza giustifica la sospensione delle regole della democrazia?
No. Anche in tempo di crisi, la politica democratica non può limitarsi a seguire le direttive di singoli consulenti, affermando che qui tutto sta sfuggendo di mano e per questo occorre intervenire in modo draconiano sui diritti civili. Quando la crisi si placherà, molte cose andranno cambiate.
Nel suo romanzo, la salute è un principio dello Stato. Ognuno deve fare del suo meglio per il proprio corpo e le trasgressioni sono punite. Sembra molto simile a ciò che sta succedendo ora.
Soprattutto la tattica punitiva è inquietante. In sostanza, in questo modo, si intimidisce la popolazione nella speranza di indurla a rispettare le regole di emergenza. Il messaggio è: se non farete ciò che vi chiediamo di fare, sarete responsabili dell'ulteriore diffusione del virus e dei numerosi morti nelle fasce a rischio! Questo produce in alcune persone un sentimento di sfida e resistenza, in altre porta alla paura e a comportamenti regressivi. Entrambe queste reazioni avvelenano l'umore sociale. A mio parere, usare il senso di colpa per cercare di mettere sotto pressione i cittadini è sempre una forma di fallimento politico.
Le condizioni che stiamo vivendo col Coronavirus sono evidentemente diverse rispetto a quelle descritte nel suo romanzo, ora sono in gioco vite umane e c’è la chiara prospettiva che si tratti solo di restrizioni temporanee. Attualmente, però, un pugno di medici determina la politica e un presupposto essenziale dell’azione politica è la legge sulla protezione dalle infezioni. Secondo lei, è legittimo?
La nostra Costituzione richiede che, in caso di violazione dei diritti fondamentali, si faccia sempre ricorso al mezzo più blando possibile. Anche nel caso in cui si debbano evitare dei pericoli non vale la regola “molto aiuta molto”, bensì: quanto è necessario, il meno possibile. Altrimenti, non c’è proporzione e un provvedimento potrebbe quindi essere incostituzionale. Ciò richiede quindi una discussione seria su quali siano le procedure effettivamente ragionevoli e quali tra di esse siano le più leggere. Per fare ciò, avrebbe potuto essere di aiuto un dibattito su base scientifica tra tutte le discipline mediche, realizzato ad esempio attraverso una commissione creata ad hoc. Invece singoli esperti di spicco sono stati trasformati in consulenti, permettendo così che una crescente copertura mediatica trascinasse l’opinione pubblica e la politica. Un dibattito serio può avvenire anche quando il tempo incalza, non ci vogliono mesi. In una democrazia non bisogna lasciarsi sfuggire questa opportunità. Innanzitutto, chiarire il più possibile i fatti e renderli pubblici contribuisce a essere oggettivamente più chiari e a prendere decisioni migliori, aumentando però anche la trasparenza e quindi la legittimità democratica.
I politici dicono che non ci sono alternative alle loro azioni e fugano i dubbi rimandando ai morti in Italia, Spagna e anche in patria. Manca però uno scenario di rischio reale e valido. È così che si dovrebbe fare politica?
“Non avere alternative” è un altro modo per dire “non si accettano obiezioni”, esprimendo così un concetto assolutamente antidemocratico. C’è sempre un’alternativa e la nostra Costituzione ci impone di prendere in considerazione le diverse opzioni. Nel caso del Covid-19, gran parte della comunità scientifica concorda sul fatto che sia necessaria la cosiddetta immunità di gregge, vale a dire che almeno il 60-70 per cento della popolazione deve essere infettata, affinché la pandemia si plachi. Ciò vuol dire che un’alternativa forse sensata sarebbe stata quella di prendere in considerazione le cosiddette misure di stratificazione del rischio, fornendo un alto grado di protezione mirata alle fasce a rischio, e consentendo al resto della popolazione di immunizzarsi. Non voglio ora esprimermi su quale sia l’alternativa migliore, perché non sono un’esperta. Ciò che colpisce, tuttavia, è che non c’è stata una discussione multidisciplinare comprensibile per i cittadini sulle alternative.
Alcuni politici si sono quasi superati a vicenda sulle restrizioni, quasi come se valesse il motto dell’esperto di diritto costituzionale Carl Schmitt: “Sovrano è chi decide sulla stato di eccezione.”
Quello che mi preoccupa è che in tempi così difficili molti politici mostrino poca spina dorsale. Non credo neppure che siano spinti dalla fame di potere. Mi sembra che abbiano piuttosto il timore di poter in seguito essere accusati di aver fatto troppo poco e per questo preferiscono superarsi a vicenda nel consigliare sempre nuove regole draconiane, e cercano di guadagnare punti, agendo da leader forti. Da questo però ai miei occhi non deriva un’impressione di forza, ma al contrario di sconsideratezza. Come se si dovesse e si potesse gettare in fretta in mare tutto ciò che solitamente è valido, perché in qualche modo non si sa come agire nel modo giusto. A mio parere, in Germania non si tratta di attacchi mirati alla validità della nostra Costituzione con il pretesto della gestione della crisi. Stiamo, tuttavia, vivendo una forma di spregio disorientato nei riguardi della nostra Costituzione, che trovo quasi altrettanto grave.
Dalla terminologia che usano alcuni politici sembra come se fossimo in “guerra”. Questo giustifica poi una restrizione delle libertà civili che un mese fa sembrava impensabile. Riesce a comprendere le persone che si ribellano a questo modo di comportarsi?
Come cittadini, siamo messi in una posizione davvero difficile dalla retorica e dal modo di agire. La stragrande maggioranza di noi capisce che è necessario intraprendere qualcosa contro il virus. Si vuole essere ragionevoli e anche solidali con le fasce a rischio, non si vuole colpire l’agire comune. Molto di ciò che sta accadendo sembra però illogico, frettoloso, antidemocratico. A questo ci si vorrebbe ribellare, ma poi ti viene contestato che se non dai il tuo contributo, sarai colpevole di possibili vittime. Un dilemma inutile che tormenta le persone, un antagonismo aizzato ad arte tra diritti umani e la vita umana. Se non si fosse lavorato con scenari punitivi, ma si fosse cercato di convincere i cittadini attraverso una strategia comprensibile e giustificabile, ciò avrebbe permesso un consenso molto più elevato e veramente sentito.
La crisi del Coronavirus è l'ora dell'esecutivo, il controllo parlamentare è in parte paralizzato, l'opposizione al momento è a malapena penetrante e il diritto di riunione è stato temporaneamente abolito. Quanto può resistere un sistema politico senza subire danni?
Nessuno lo sa. Credo che la nostra democrazia sia molto più stabile di quanto a volte si pensi, che possa sopportare molto e riprendersi anche dopo forti scosse. Per questo non voglio perdere la speranza di poter tornare alla vita democratica di tutti i giorni, una volta che l'epidemia si sarà placata. Ciò che mi spaventa però, è la consapevolezza di quanto poco noi come società democratica sappiamo affrontare le situazioni di crisi. Quanto velocemente siamo pronti a prendere decisioni guidate dalla paura, come agiscono in modo sventato i politici che abbiamo eletto quando subito passano immediatamente la responsabilità ai “consulenti” invece di agire con calma nello spirito della democrazia. Con tutto il rispetto, il Covid-19 non è innocuo, ma sono ipotizzabili pandemie o altri disastri ben peggiori. Cosa succederebbe in quel caso?
Attualmente si discute del tracciamento dei dati dei telefoni cellulari, che dovrebbe essere volontario, ma che ad ogni modo rappresenterebbe una massiccia ingerenza nella privacy, per la quale ci si è battuti per decenni.
Il carattere di volontarietà è una cosa. Se però si suggerisce alle persone di consegnare i dati conservati sul proprio cellulare, perché altrimenti avranno sulla coscienza la vita di innumerevoli pazienti a rischio, forse lo faranno anche se in realtà non vorrebbero.
Il tracciamento dei cellulari è il banco di prova per capire fino a che punto la politica può spingersi ai tempi del Coronavirus?
Per lo meno c'è un aspetto positivo: per quanto concerne il “tracciamento”, per la prima volta dall'inizio della crisi, c'è un vero e proprio dibattito pubblico, che esamina in modo critico da tutte le parti una misura che si ha intenzione di attuare. L'obiezione di chi vuole proteggere la privacy ha fatto sì che il tracciamento dei cellulari non abbia trovato spazio nella nuova legge sulla protezione dalle infezioni. In realtà ciò che mi sorprende è che le persone considerino il loro cellulare più importante della loro libertà di movimento o dell'obbligo scolastico dei loro figli. Ciononostante è comunque un bene che ora ci sia qualcosa di controverso di cui parlare.
La Germania non è l'Ungheria, dove il primo ministro Victor Orbán sta sfruttando la crisi del Coronavirus per assicurarsi poteri dittatoriali. Nel nostro paese il fine è chiaramente quello di combattere il Coronavirus. Tuttavia, la popolazione sta attualmente dando ai politici un'enorme fiducia. Quanto può durare?
Temo che i politici non potranno cambiare la strada intrapresa prima che il virus si sia visibilmente placato. La perdita di credibilità sarebbe troppo grande, e un simile comportamento renderebbe assurdi tutti i sacrifici e le restrizioni finora fatti. In altre parole, la nostra democrazia per il momento è in mano alla curva che indica la velocità di contagio. Più la curva si appiattisce, più potremo probabilmente concederci di nuovo una maggiore democrazia e una pacata riflessione.
È sorprendente il modo in cui la popolazione sostiene le restrizioni: un politico come Markus Söder, che ha un approccio particolarmente restrittivo, guadagna consensi. Cosa ci dice questo su alcune parti della società?
Dice qualcosa su come funziona la paura, soprattutto quando è di massa. In sostanza non è una novità. L'esperienza ci dice quanto pericolosi siano i meccanismi della paura. Pertanto chiedo ai politici e ai media responsabili di non usare mai la paura come loro strumento. Purtroppo da decenni accade il contrario, non solo ora che c'è il Coronavirus. Invece di porci obiettivi fiduciosi per il futuro, dal passaggio al nuovo millennio è diventato quasi tradizione annunciare uno scenario apocalittico dopo l'altro, per sfruttare l'economia dell'attenzione o per assicurarsi vantaggi di potere politico. Ciascuna forza politica ha un suo scenario apocalittico con il quale farsi pubblicità. L'emotività di massa della società è cresciuta sempre più, e al tempo stesso depressione e nevrosi sono in crescita. Sarebbe assolutamente importante tornare all'obiettività e trattare la popolazione da cittadini responsabili piuttosto che come bambini turbati. La paura a un certo punto si trasforma in aggressività, e non è in nessun modo chiaro contro chi o cosa sarà diretta.
Alcuni cittadini sembrano già essere in competizione tra di loro nel denunciare le violazioni alle misure previste per contenere il Coronavirus.
Fondamentalmente è abbastanza normale. Uno stato d'animo di base altamente moralizzato insieme ad un governo per decreto fornisce un perfetto terreno fertile alla denuncia. In questo modo non si promuove esattamente la pace sociale. Grazie a Dio, però, c'è anche un gran numero di persone, direi la maggioranza, che sono molto pragmatiche, calme e ragionevoli nel gestire la situazione.
Nel suo romanzo Corpus Delicti parla anche di come la società sia impercettibilmente minata da "elementi dittatoriali". La crisi del Coronavirus lascerà tracce in questo senso nella società?
A differenza della maggior parte delle persone, non credo che il Covid-19 cambierà completamente il nostro mondo e che dopo niente sarà più lo stesso. Credo piuttosto che una tale crisi rafforzi tendenze già esistenti in precedenza. Il desiderio di forme autoritarie di governo si è sviluppato anni fa. C'è stanchezza per la democrazia e disincanto per la politica, anche nel nostro Paese. Pessimisticamente, potremmo temere che il Coronavirus provochi un'escalation di queste correnti. Speriamo con ottimismo che la crisi ci ricordi l'importanza di una politica democratica condotta con mano ferma e ci rammenti che dobbiamo fare tutto il possibile per sanare la divisione tra la classe politica e la popolazione.
Questo testo è apparso originariamente nell'edizione del 4 aprile 2020 della Süddeutsche Zeitung.