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Decrescita
Stavolta è davvero la fine del capitalismo

“Stavolta è davvero la fine del capitalismo”: sarà il cambiamento climatico a segnare veramente la fine della massima crescita?
“Stavolta è davvero la fine del capitalismo”: sarà il cambiamento climatico a segnare veramente la fine della massima crescita? | Foto (dettaglio): © Adobe

Se della durata all’infinito di economia e prosperità si dubitava fin dai tempi di Marx ed Engels, nuovi impulsi al dibattito arrivano dai cambiamenti climatici e ci si chiede se la diminuzione delle risorse sia il primo segnale della vera e propria fine del capitalismo. Ecco in che termini si parla di post-crescita in Germania.

Di Wolfgang Mulke

Questa volta possiamo affermarlo sul serio: il capitalismo ha fatto il suo tempo. Quello che non avevano indotto né Marx né Engels, quello che non aveva prodotto permanentemente la rivoluzione russa, quello che non era riuscito a fare la DDR, primo Stato socialista sul suolo tedesco, e cioè abolire il libero mercato, le sue regole e i relativi rapporti di potere, è ormai alle porte a causa del previsto venir meno delle possibilità naturali di espansione. “Stavolta è davvero la fine del capitalismo”, sostiene Ulrike Herrmann in Das Ende des Kapitalismus [la fine del capitalismo], pubblicazione del 2022 nella quale la storica e filosofa illustra le sue tesi: senza rivoluzioni, senza masse oppresse in rivolta, sarà la crisi climatica a causare la contrazione dell’economia e quindi la condanna a morte di un sistema economico basato sulla crescita.

La critica alla crescita non è una novità

Herrmann si allinea così a un movimento che in Germania si diffonde sempre più e guarda con occhio critico alla crescita. I dubbi generati da un sistema economico orientato esclusivamente a quest’ultima non sono una novità: li aveva espressi dopo anni di intenso sviluppo persino una persona del tutto insensibile alle idee socialiste come Ludwig Ehrhard, Ministro dell’Economia tedesco durante gli anni della ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale, ipotizzando che dopo quella fase sarebbe venuto il momento di “chiedersi cosa sia effettivamente più prezioso e valido [...], se lavorare ancora di più oppure scegliere una vita più piena, comoda e libera, forse rinunciando consapevolmente ad alcuni piaceri di carattere materiale ed economico”.

Nei decenni successivi, la dottrina della crescita ha subito critiche più o meno forti, anche perché gli aspetti distruttivi del consumo smisurato di risorse sono diventate sempre più evidenti. Quella dottrina è culminata una prima volta nel rapporto del Club of Rome, che nel 1972 ha previsto i “limiti della crescita”. D’altra parte, l’economia orientata alla crescita ha portato più prosperità per tutti e né la critica del capitalismo di sinistra, né lo scetticismo per la crescita da parte delle cerchie più conservatrici hanno potuto contrastarla. Il dibattito ha registrato una nuova impennata negli anni della crisi finanziaria mondiale e poi di nuovo in seguito alle questioni sempre più urgenti legate alla tutela del clima. Un ramo del Reno prosciugato a causa della siccità: nel 2022 la navigazione interna sul fiume è stata ridotta o del tutto bloccata. Un ramo del Reno prosciugato a causa della siccità: nel 2022 la navigazione interna sul fiume è stata ridotta o del tutto bloccata. | Foto (dettaglio): © picture alliance / Daniel Kubirski

Contrazione dell’economia

È questo il contesto in cui sono nati i movimento per la decrescita, termine che descrive l’opposto di un’economia orientata a una crescita costante. “Abbiamo bisogno di una trasformazione radicale dell’economia”, afferma il sociologo Matthias Schmelzer dell’Università di Jena, fautore di un addio ai principi dell’economia di mercato e coautore di The Future is Degrowth, pubblicazione che si propone come guida per un mondo post-capitalista.

Schmelzer e Herrmann sono accomunati da un assunto: la necessaria riduzione delle emissioni di CO2 non può essere raggiunta solo attraverso le energie rinnovabili e il progresso tecnologico. “La ‘crescita verde’ è un’illusione, perché l’energia verde non potrà bastare”, sostiene con sicurezza Herrmann, mentre Schmelzer sottolinea che sarebbe necessario ridurre del 10% l’anno le emissioni di gas, ma che di fatto “è impossibile”. Entrambi considerano quindi fuori questione un’ulteriore crescita, mentre le conclusioni che traggono sono divergenti.

Verso un’“economia di sopravvivenza”

Secondo Hermann è necessario trasformare il capitalismo in un’“economia di sopravvivenza”. Il modello concreto che cita è quello dell’economia di guerra della Gran Bretagna nella Seconda Guerra Mondiale, quando lo Stato ha assunto gran parte del controllo economico, poiché molti degli impianti di produzione erano necessari per le forze armate; il governo ha stabilito delle linee guida per il consumo e la produzione civile e non c’è stata una statalizzazione di fabbriche, aziende agricole o imprese artigianali, per cui l’economia è rimasta privata, ma lo Stato si è fatto carico dell’assegnazione dei materiali, dell’energia o della manodopera, guidando in questo modo la contrazione dell’economia civile. I beni e le merci sono stati razionati, ma sono rimasti sufficientemente disponibili per ogni famiglia. Herrmann parla di “gestire la scarsità” come modello per una futura economia circolare climaticamente neutrale.
Le idee per la decrescita vanno dalla contrazione guidata dallo Stato a un’agricoltura di sussistenza più regionale. Questi polli in una vetrina di Colonia sono probabilmente destinati a quest’ultima. Le idee per la decrescita vanno dalla contrazione guidata dallo Stato a un’agricoltura di sussistenza più regionale. Questi polli in una vetrina di Colonia sono probabilmente destinati a quest’ultima. | Foto (dettaglio): © picture alliance / imageBROKER / scully Il sociologo Schmelzer preferisce parlare di un’era di post-crescita, più che di fine del capitalismo. Il movimento della decrescita immagina un mondo che riduca massicciamente i consumi, ad esempio attraverso la produzione cooperativa in piccole comunità o la condivisione di beni di consumo, dando una connotazione positiva alla riduzione del consumo di risorse, ad esempio perché meno lavoro significa meno denaro, ma anche una migliore qualità della vita.

Visioni agli albori

Per Schmelzer è importante concentrarsi sui principali punti critici della massima della crescita: il deterioramento delle basi ecologiche della vita umana, l’allontanamento delle persone dal lavoro, dalle relazioni e dalla natura e l’incentivazione ad accumulare capitale e a sfruttare soprattutto le donne e le popolazioni del Sud globale. La sua visione: porre fine a tutto ciò con la contrazione dell’economia nei Paesi industrializzati e un’equa distribuzione a livello mondiale del consumo delle risorse.

“Siamo solo all’inizio della nostra ricerca di piani applicabili”, ammette tuttavia Schmelzer, mentre Herrmann non specifica un percorso concreto verso un’economia indipendente dalla crescita e che si astenga da massime capitalistiche come la concorrenza, lo sviluppo tecnologico e l’avidità. Al momento attuale è necessario sviluppare dei piani e mantenere la decrescita al centro dei dibattiti.

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